Trasformare l’IT per avere successo con il cloud

Quando il CIO Neil Holden ha guidato verso il cloud la sua azienda, Halfords Group, ha cercato di fare qualcosa di più di una semplice migrazione delle operazioni IT.

Piuttosto, negli intenti di Holden – come d’altra parte in quelli della maggior parte dei Chief Information Officer – c’era la volontà di far sì che il crescente uso del cloud consentisse di dare forma al programma di trasformazione dell’azienda. Per raggiungere questo obiettivo, sapeva di dover trasformare non solo lo stack tecnologico, ma anche il proprio reparto tecnologico, nel suo complesso.

“Per qualsiasi tipologia di adozione del cloud è necessario esaminare la struttura del proprio comparto IT”, afferma. “Che deve operare in modo molto diverso, non solo per il cloud, ma anche per il significato che quest’ultimo riveste per l’azienda”.

Per questo, Holden, che dal 2017 è CIO di Halfords, il più grande rivenditore di prodotti e servizi per le automobili e per la biciclette del Regno Unito, ha sviluppato una strategia per riorganizzare il suo team tecnologico. Lo ha fatto mentre elaborava la strategia cloud complessiva dell’azienda, ritenendo che fosse il modo migliore per garantire che il suo personale potesse cogliere le funzionalità offerte dalla “nuvola” e le opportunità di business che poteva abilitare.

“Per ottenere questo risultato è necessario disporre dell’organizzazione giusta, perché, se ci si limita a utilizzare il cloud soltanto come repository, non si riuscirà a sfruttare appieno gli investimenti”, dichiara.

I CIO, i ricercatori, i consulenti e i consulenti concordano sul fatto che l’IT deve cambiare se stessa, il modo in cui lavora e l’organizzazione dei suoi dipendenti, se vuole ottenere i maggiori benefici dal cloud computing.

Altrimenti, avvertono i leader, ci si limita a spostare l’ubicazione dei server dai propri data center a quelli di qualcun altro, rischiando di perdere l’innovazione, la trasformazione e la velocità di commercializzazione che l’adozione del cloud consente.

“Non è possibile portare le stesse competenze e gli stessi team dal sistema esistente al cloud. È qui che si rischia di fallire”, afferma Sushant Tripathi, vicepresidente e responsabile nordamericano della trasformazione del cloud di Tata Consultancy Services. I Chief Information Officer devono invece riqualificare e riorganizzare l’IT per sfruttare tutti i vantaggi offerti da tale modello informatico.

Qui di seguito, quattro leader della tecnologia spiegano come hanno agito su questo fronte.

La necessità di abbandonare i processi lineari

La riorganizzazione di Holden si è concentrata, in gran parte, sull’eliminazione dello sviluppo lineare del software e dei processi di progetto, nonché della struttura del team che permetteva di portare a termine il lavoro in modo lineare. “Abbiamo cambiato completamente la configurazione della nostra squadra”, afferma.

In precedenza, la funzione IT di Halfords era organizzata in modo convenzionale con un team composto da squadre separate, rispettivamente, per l’analisi aziendale, per la progettazione di soluzioni, per l’infrastruttura e così via. Con questa organizzazione, il lavoro passava da un comparto all’altro.

“C’era chi raccoglieva le informazioni sugli obiettivi di business e trasmetteva i requisiti al team di progettazione, il quale, a sua volta, li trasferiva a quelli di implementazione e di infrastruttura”, spiega, con i vari gruppi che operavano in modo indipendente creando, tra loro, gli accordi che definivano le consegne e le tempistiche di ciascuno. “Ora tutto ciò avviene all’interno di un meccanismo agile con consegna iterativa, fondendo al suo interno il processo lineare”.

Per mettere in atto questo cambiamento, Holden ha assunto diversi architetti software specializzati nel cloud [in inglese], che hanno portato la loro esperienza e la loro formazione per integrare il cloud nella metodologia agile adottata da Holden, e ha anche addestrato il personale esistente sulle competenze specifiche e sul metodo agile. Inoltre, ha assunto dei coach esperti su quest’ultimo [in inglese], per lavorare con il suo team IT. Infine, ha eliminato l’organizzazione in squadre distinte e indipendenti, creando gruppi di lavoro Scrum composti da responsabili di prodotto [in inglese], business analyst [in inglese], solution architect [in inglese], sviluppatori front-end e back-end, e tester.

I nuovi team Scrum hanno lavorato in modo iterativo anziché lineare per accelerare la consegna di nuovi elementi e nuove funzionalità, consentendo all’IT – e al business nel suo complesso – di capitalizzare gli investimenti nel cloud.

“Ma la parte più importante di questa evoluzione non ha riguardato soltanto la “nuvola”: c’è stato anche un grande cambiamento nel cuore e nella mente delle persone. Abbiamo quindi dedicato un grande sforzo alla formazione”, afferma Holden, il quale aggiunge di aver completato quasi del tutto il passaggio alla questa nuova struttura alla fine del 2021.

Affermando di poter misurare il valore della riorganizzazione nella capacità del suo team di lavorare più rapidamente, Holden ha calcolato che un progetto, creato e distribuito in 42 giorni dal suo gruppo IT rinnovato, avrebbe richiesto al vecchio reparto IT 152 giorni.

Nuclei e capitoli per valorizzare i talenti del cloud

Similmente a quanto è stato fatto da Holden, anche il CIO dell’Arizona State University, Lev Gonick, ha riconfigurato la sua squadra hi-tech per cercare di cogliere meglio le opportunità offerte dal cloud.

Questo cambiamento non è avvenuto subito, dice Gonick. L’ASU ha iniziato il suo percorso una decina di anni fa con alcuni esperimenti, prima di diventare più strategica e aggressiva nella sua adozione quando Gonick è diventato Chief Information Officer, nel 2017. Oggi l’ASU ha circa l’85% dei suoi carichi di lavoro nel cloud.

Gonick afferma che il suo team doveva cambiare se voleva essere abbastanza agile da tenere il passo con le esigenze aziendali e scalare assecondando la crescita dell’università. La sua soluzione è stata quella di “appiattire l’organizzazione in maniera radicale”.

“Si è trattato di una scommessa ad alto rischio da parte mia”, afferma il manager, sottolineando come abbia deciso di apportare i cambiamenti durante la fase iniziale della pandemia. “Invece di avere team orientati verticalmente, abbiamo creato una serie di ‘nuclei’, cioè squadre di talenti rapidamente riconfigurabili”, ognuno dei quali si concentra su cinque aree specifiche, che sono comunità di sviluppo professionale che operano attorno a una pratica comune. Ce ne sono quattro a carattere più tecnico: ingegneria, fornitura di servizi, prodotti e programmi, dati e analisi; il quinto è legato all’esperienza di apprendimento.

I responsabili del nucleo prodotti e programmi riuniscono la giusta combinazione di talenti per lavorare in “capitoli”, che Gonick paragona a gruppi di lavoro; per esempio, ci sono 30 capitoli di ingegneria.

“Abbiamo creato questo modello per avere la certezza di ssere allineati a ciò che il cloud offre”, spiega, aggiungendo che questa struttura organizzativa consente ai professionisti IT di estendere ed esercitare il proprio talento lavorando su progetti diversi “piuttosto che ‘essere in una miniera di sale’ e lavorare giorno dopo giorno con la stessa serie di strumenti”.

E aggiunge: “Si tratta davvero di liberare il talento umano. Io credo che la maggior parte dei team tecnici aziendali sia immersa in strutture gerarchiche che impediscono di trovare la giusta valorizzazione a una quota consistente di talento. Da ciò discende come la maggior parte dei professionisti che ne fanno parte raramente abbiano la possibilità di espandere e condividere la loro conoscenza. Con la nostra organizzazione, invece, i team possono crescere in una dimensione di community professionale e arrivare a un elevato grado di coinvolgimento, non soltanto tra di loro, ma anche con il business dell’azienda.

Centralizzare i team per il successo del cloud

Come ASU, la compagnia di assicurazioni Liberty Mutual Insurance ha intrapreso il suo viaggio nel cloud negli ultimi dieci anni [in inglese], iniziando con una fase di sperimentazione prima di passare all’all-in sei anni fa, che ci “ha reso più rapidi sul mercato, e di ha permesso di ridurre i costi e accrescere la flessibilità nell’attivare e disattivare le funzionalità”, afferma Monica Caldas, che è diventata vice president esecutivo e global CIO di Liberty Mutual a gennaio, dopo aver ricoperto altri due ruoli esecutivi nel settore IT dell’azienda, per la quale lavora dal 2018.

Durante il percorso che ha portato all’adozione del cloud, la leadership tecnologica di Liberty Mutual si è concentrata sullo sviluppo dei talenti e delle competenze necessarie a migrare da un ambiente tradizionale a uno prevalentemente basato sulla “nuvola”, spiega Caldas. “È diventata una trasformazione su larga scala, nella quale tutti hanno avuto un proprio ruolo da svolgere”.

In questo contesto, il team dell’infrastruttura di Liberty Mutual ha dovuto essere riorganizzato, dal momento che non aveva più bisogno di mantenere la stessa dimensione hardware che aveva gestito nel corso degli anni. Ed è stato così che il team dedicato, in precedenza, alle infrastrutture è stato trasformato in un’unità centralizzata di servizi digitali con un mandato globale incentrato sulle funzionalità cloud da sfruttare in tutta l’azienda.

Caldas afferma che, in precedenza, quegli stessi professionisti si erano concentrati sulla collaborazione e sul supporto alle business unit dell’azienda, “ma non avevano un’unica serie di strategie con un’unica roadmap sulla direzione da prendere”.

Con la nuova struttura, in cui il nuovo team di servizi digitali ha un mandato globale, si stanno creando processi ripetibili a cui l’intera azienda può accedere e che può utilizzare con facilità, “generando un volano sulla velocità di consegna”, afferma Caldas.

Inoltre, il team dei servizi digitali, essendo centralizzato, opera in modo più efficiente, risparmiando sui costi. Ed è in grado di farlo in modo più efficace, in quanto i suoi membri sono in grado di affinare le proprie competenze, perfezionare i processi e quindi fornire risultati di alta qualità.

“Il nostro team Global Digital Services [GDS] è una funzione centralizzata che garantisce la disponibilità costante delle applicazioni aziendali critiche. Con oltre il 70% di queste ultime e delle infrastrutture di Liberty Mutual che operano nel cloud pubblico, il GDS ha la supervisione dell’architettura e delle operazioni devops e del cloud globale dell’azienda, aiutandola a operare più velocemente”, precisa la manager.

Altri team IT si concentrano sulla fornitura di soluzioni per le esigenze aziendali.

“Abbiamo squadre hi-tech focalizzate anche sulla realizzazione di risultati per le nostre unità di business principali, con la missione di fornire capacità differenziate al servizio dei nostri clienti, agenti, e partner”, spiega Caldas.

Analogamente, i leader tech di Liberty Mutual hanno creato un team centralizzato di cybersecurity e resilienza operativa con un mandato globale per garantire “sistemi sicuri e stabili”.

Caldas aggiunge: “Oggi siamo un’organizzazione globale orientata a un’unica serie di strategie, roadmap e visioni su dove stiamo andando. Tutto è digital-first per i nostri clienti, agenti, e partner, e il nostro viaggio nel cloud chiude il cerchio in termini di utilizzo della tecnologia come fattore di competitività”.

Consolidare i team per migliorare la sicurezza

Per Brad Stone, CIO di Booz Allen Hamilton, il cloud consente di fornire rapidamente le funzionalità necessarie, e supporta l’innovazione e la trasformazione aziendale. “Ci siamo organizzati per essere sicuri di poter capitalizzare su questi aspetti”, dice.

Questi includono anche la modalità con cui il top manager ha messo a punto la strategia relativa alla security, un’area che Stone riteneva di dover trasformare per garantire che Booz Allen ottenesse i successi desiderati dai suoi investimenti nel cloud.

“È necessario creare una solida base tra la cybersecurity e i team operativi IT”, sottolineando che operazioni di sicurezza coerenti in tutta l’azienda aiutano a identificare e ridurre i rischi.

Stone, che supervisiona anche questo comparto, afferma che le operazioni di sicurezza di Booz Allen erano precedentemente strutturate in tre unità basate sull’infrastruttura: una che supportava quella fisica, una seconda deputata al cloud e la terza dedicata alle piattaforme software-as-a-service dell’azienda.

Nonostante tutti e tre i team facessero capo a un unico responsabile, ognuno di essi lavorava in autonomia, con il risultato di avere trovarsi di fronte a colli di bottiglia e a inefficienze tecnologiche, spiega Stone. Inoltre, le differenze tra i vari gruppi hanno comportato un aumento del lavoro per lesquadre di sicurezza impegnate a gestire e a mitigare i rischi. Di fatto, ciò ha favorito “una mentalità legacy” e un approccio frammentato, con la sicurezza che si è ritrovata costretta a pensare a strumenti distinti per i tre ambiti.

“Abbiamo faticato a trovare un’uniformità, una visibilità comune e abbiamo avuto troppi cambiamenti”, spiega Stone. Che ha deciso di riunire i tre team in un’unica squadra integrata, in modo tale che non si trattasse “tradizione vs cloud”, ma piuttosto di “rendere il tutto uno sport di squadra”: i lavoratori di ciascuno dei tre team originari sono stati formati in modo incrociato per abbattere le barriere e lavorare come un’unità coesa in grado di supportare tutti i tipi di infrastruttura esistenti in Booz Allen.

Il lavoro è durato circa otto mesi e si è svolto tra il 2021 e il 2022, spiega Stone, aggiungendo che il gruppo integrato ha permesso a Stone di modernizzare le operazioni di sicurezza per adattarle meglio all’ambiente tecnico misto dell’azienda.

“Il nostro team di sicurezza ha potuto integrarsi meglio”, afferma. Così, invece di occuparsi dei requisiti di disponibilità, affidabilità e riservatezza per ogni singolo aspetto, le operazioni di sicurezza hanno potuto agire sull’intero scenario infrastrutturale. Questo ha reso ogni aspetto riguardante la sicurezza più efficace e più efficiente”.

Per illustrare questa dinamica, Stone propone il seguente esempio: “Supponiamo di avere una vulnerabilità critica per un software open source. Se le diverse infrastrutture sono gestite separatamente e, tra di loro, si sono creati spazi di incomunicabilità, è più difficile rispondere con rapidità alle minacce, e intervenire altrettanto celermente”, spiega.

Riunendo tutte e tre le infrastrutture, invece, la squadra integrata è in grado di utilizzare strumenti comuni, un’unica soluzione di gestione dei servizi IT e un unico database per l’intero sistema, aumentando la capacità di scoprire e rispondere ai problemi di sicurezza in modo tempestivo.

Cloud Computing, Digital Transformation